Melfi comune italiano di 17 616 abitanti della provincia di Potenza;
è il quarto comune della regione per numero di abitanti dopo Potenza,
Matera e Pisticci
La città è costituita da un centro storico di aspetto complessivamente medievale
ed è diventata recentemente uno dei centri più produttivi della Lucania
e uno dei maggiori nuclei imprenditoriali del Meridione: il polo industriale SATA,
sorto nei primi anni novanta, ospita infatti uno dei più importanti stabilimenti
del gruppo FIAT.
Melfi è stata sede di un tribunale ordinario dall'anno 1862, soppresso
dopo 150 anni, con Decreto Legislativo n. 155 07/09/2012, pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale della Repubblica Italiana 213 del 12 settembre 2012, nell'intento di riordinare
la cosiddetta geografia giudiziaria in funzione dei costi di gestione e della produttività.
Sin dal 1866, sono state fatte varie proposte per rendere Melfi
provincia autonoma da Potenza. Il territorio immaginato per la
provincia, omogeneo per scambi e vie di comunicazione, oltre che morfologia, sarebbe
quello compreso tra i corsi del fiume Ofanto e del fiume Bradano,
quindi l'area del Vulture-Alto Bradano, una ventina di comuni,
su 1.700 , con una popolazione pari a 100 mila abitanti,.
La storia
Secondo documentazioni storiche Melfi trae il suo nome dal piccolo
fiume Melpes, citato dallo scrittore e naturalista latino Plinio il Vecchio,
oggi comunemente chiamato Fiumara, per sottolineare il carattere
torrentizio.
La fondazione di Melfi è di ignota datazione ed esistono vari pareri
discordanti. Giovanni Pontano e Leandro Alberti sostennero che i fondatori fossero
greci il monaco longobardo Erchemperto nelle sue opere attribuì
la nascita di Melfi ad alcune famiglie dell'impero romano.
Quando Costantino il Grande ricostruì Bisanzio,
queste avrebbero deciso di trasferirsi nella città ma, a causa di un violento nubifragio
nei pressi di Schiavonia, si sarebbero fermate a Ragusa (Croazia). Dopo esserne
state scacciate, sarebbero infine tornate sulle coste italiane e, insediandosi nell'area
del Vulture, avrebbero fondato Melfi. Però, per
l'insicurezza dalle orde di barbari e le loro scorrerie, continuarono nel loro pellegrinaggio,
e fondarono Amalfi (alcuni ritengono che dal nome di Melfi deriverebbe quello della
città campana).
Esiste un'altra teoria che ne data la fondazione ai primi anni dell'XI secolo, ad
opera del generale bizantino Basilio Boioannes (catapano d’Italia dal 1017
al 1027), poiché non esistono prove documentali dell'esistenza della città in tempi
precedenti.. Né risulta, con le vicine Rapolla e Venosa,
nell'elenco delle città daune nominate da Plinio il Vecchio nel
70 d.C. circa.
I primi centri abitati, situati nella frazione Leonessa e resti di una mastodontica
necropoli trovati in località Toppo d'Avuzzo a Rapolla attestano che l'area del
melfese era abitata sin dai tempi del neolitico;Dauni
e lucani furono tra le prime civiltà a insediarsi nel suo territorio.
In epoca romana, l'abitato era in secondo piano rispetto ad altre località limitrofe
come Venusia (l'attuale Venosa),] dato che quest'ultima, trovandosi
in un punto strategico della via Appia, fu un importante centro di scambi commerciali.
Con la caduta dell'Impero Romano, la zona, occupata dai bizantini
e poi dai longobardi, iniziò ad acquistare maggior importanza, ma fu con l'arrivo
dei normanni che iniziò ad assumere un ruolo fondamentale. Nel 1042, Guglielmo Braccio
di Ferro e gli altri membri della famiglia Altavilla ottennero dal duca longobardo
Guaimario IV di Salerno il riconoscimento ufficiale della conquista della città,
diventando in cambio suoi vassalli, e partirono da Melfi
per mettere sotto il proprio dominio l'intero meridione d'Italia.
A Melfi, capitale della Contea di Puglia, si tennero cinque concili,
organizzati da cinque diversi Pontefici tra il 1059 e il 1137. Nel I concilio del
1059, il papa Niccolò II riconobbe i possedimenti conquistati dai Normanni e nominò
Roberto il Guiscardo duca di Puglia e Calabria,, che divenne vassallo della Chiesa.
La città stava passando un momento fulgido della sua storia, e in tale circostanza
diventava la Capitale del Ducato di Puglia e Calabria
nel 1059.[22]
Melfi, nonostante dovette cedere il titolo di Capitale a Salerno e infine a Palermo,
continuò a essere un centro molto importante dell'impero normanno. La città fu luogo
di organizzazione di altri Sinodi. Il papa Alessandro II dal primo agosto 1067 presiedette
il Concilio di Melfi II; ricevette il Principe longobardo di Salerno, Gisulfo II,
e i fratelli Roberto il Guiscardo e Ruggero Altavilla. Nel corso del Concilio di
Melfi III, del 1089, il papa Urbano II indisse la Prima Crociata in Terra Santa.[23],
poi Pasquale II nel 1101 convocò il Concilio di Melfi IV e infine Innocenzo II nel
1137 celebrò il Concilio di Melfi V, ultimo della serie.
Ai Normanni si sostituirono gli Svevi di Federico
II Hohenstaufen, che portò Melfi e il suo castello
a nuovi splendori.
L'imperatore scelse la città come residenza estiva e qui (ma anche
nelle località di Lagopesole, Palazzo San Gervasio
e forse anche Monticchio) trascorse i suoi momenti di svago, dato
che prediligeva le foreste del Monte Vulture per praticare la
falconeria (la caccia col falcone), il suo hobby preferito.
Il sovrano svevo promulgò dal castello le Costituzioni di Melfi
(o Constitutiones Augustales), codice unico di leggi per l'intero
regno di Sicilia, opera fondamentale nella storia del diritto, le cui caratteristiche
sono considerate "moderne" da molti storici.
Quando il governo di Federico II cessò di esistere e i nuovi padroni
angioini si insediarono nel suo regno, per Melfi
iniziò il declino, sebbene Carlo II d'Angiò fece ristrutturare e ampliare massicciamente
il castello. Gli angioini vennero spodestati dagli aragonesi, che
divennero i nuovi signori di Melfi.
Poco più di due secoli dopo, quando Melfi era da tempo sotto il dominio spagnolo,
l'esercito francese guidato da Pietro Navarro e Odet de Foix causò uno degli avvenimenti
più truculenti della storia della città. Infatti, tra il 22 e il 23 marzo 1528,
avvenne il cosiddetto assedio di Melfi, passato alla storia come "La Pasqua
di sangue", ove la città venne saccheggiata, bruciata e gran parte
della popolazione venne sterminata, le cui cifre approssimate si aggirano tra le
3.000 e le oltre 4.000 persone uccise.
L'offensiva francese venne sradicata dal re di Spagna Carlo V,
che riconquistò Melfi nel 1531 ma la città, ormai ridotta in macerie, fu abbandonata
per mesi. Con l'emissione di due editti da parte del sovrano, Melfi venne ripopolata
da persone provenienti dagli abitati limitrofi e da una colonia di albanesi; inoltre
fu conferita del titolo di “fedelissima” ed esentata
dal pagamento dei tributi per 12 anni.
Dopo il governo di famiglie nobili come i Vaccaro di Lavello e i Doria di Genova,
a Melfi avvennero varie insurrezioni sociali, come nel 1728 contro la gabella della
farina e nel 1831 per la quotizzazione delle terre demaniali. È durante il regno
di Carlo di Borbone che Melfi avrebbe potuto riacquistare il prestigio passato,
poiché nel 1742 l'influente giurista Bernardo Tanucci (poi primo ministro), dopo
la spedizione navale britannica contro Napoli di quell'anno, constatata la vulnerabiltà
di Napoli agli attacchi dal mare, pensò di spostare la capitale del regno a Melfi;
tuttavia il suo proposito non venne concretizzato.
Poco dopo l'unità d'Italia, la città, coinvolta nel brigantaggio,
subì l'occupazione dell'armata di Carmine Crocco nel mese di aprile
1861. Anche a Melfi si fecero notare alcuni briganti come Domenico "Malacarne"
Zappella e Michele Schirò, che si unì alla causa del brigantaggio lucano
a soli 13 anni.
La città fu anche luogo di prigionia e di condanne a morte per vari briganti (Giuseppe
Schiavone, Giuseppe Petrelli e Aniello Rendina furono giustiziati il 28 novembre
1864 dai bersaglieri sabaudi).
Il 19 luglio 1868, la città diede i natali a Francesco Saverio Nitti,
presidente del consiglio e ministro, nonché uno dei maggiori fautori
del meridionalismo, assieme a Giustino Fortunato di Rionero
in Vulture.
In era fascista, Melfi, come altri luoghi della Lucania,
fu terra di confino e tra i personaggi costretti al soggiorno obbligato vi furono
antifascisti come Manlio Rossi-Doria, Franco Venturi, Ada Rossi, Eugenio Colorni
e sua moglie Ursula Hirschmann.
La città fu devastata dal terremoto del Vulture nel 1930, che rese
Melfi il comune dell'area maggiormente danneggiato e subì forti flussi migratori
verso il nord Italia e il nord Europa. Durante la Seconda Guerra Mondiale fu bombardata
dalle flotte alleate, per la precisione il 26 settembre del 1943, nel bombardamento
ad opera del 12àth NATBF e DAF, che colpì Benevento, Melfi, Foggia, Pomigliano e
Sarno; nell'occasione si registrarono numerose vittime tra i civili. Iniziò a vedere
una certa ripresa agli albori degli anni novanta, con l'edificazione degli stabilimenti
FIAT e Barilla.
Il castello
Il castello di Melfi è ra i più importanti castelli medievali del sud Italia, monumento
della Lucania di proprietà dello Stato italiano, la cui fondazione risale al periodo
normanno .
Nel tempo Il castello ha subito notevoli modifiche soprattutto
in epoca angioina e aragonese.
Amato di Montecassino la definì città “moult fort”, imprendibile baluardo
per i nemici e “cité la plus superlative de toute la conté”, punto di
convergenza di interessi politici, militari e strategici di enorme portata.
Ciò nonostante, si ha notizia certa dell’edificazione di una struttura fortificata
attribuita ai Normanni soltanto nel XII secolo, benché l’attuale castello,
nelle sue linee architettoniche appaia subito come un edificio non unitario e disomogeneo.
A guardarlo dal lato settentrionale, la sua massa scura costituita dalla pietra
vulcanica della zona emana un forte senso di inviolabilità, come pochi altri manieri:
da un lato i bastioni a picco sulla forte pendenza che corre fino al torrente Melfia,
dall’altro il borgo murato, la città dove vivevano coloni, artigiani e militari
al servizio dei castellani. Quasi un’immensa e possente città bastionata e
turrita, frutto di secolari stratificazioni (che hanno trasformato il suo primitivo
impianto normanno, a pianta rettangolare munita agli angoli di quattro torrioni
quadrati, in un imponente sistema difensivo, composto da uno spalto, da un fossato
su tre lati e da una cinta fortificata da dieci torri quadrangolari e poligonali),
tra le quali vanno ricordati i restauri di Federico II di Svevia (che vi edificò
la cosiddetta “torre dell’imperatore”), gli ampliamenti di Angioini
e Aragonesi e le tante alterazioni successive.
Strutture di epoca normanna si riconoscono in uno dei due grossi corpi di fabbrica
interni, trasformato tra XVI e XVIII secolo in palazzo baronale, dominato dall’alta
torre di Marcangione.
Nel castello di Melfi si svolsero quattro concili papali tra 1059
e 1101 e fu bandita la prima crociata nel 1089. Roberto il Guiscardo vi confinò
la prima moglie Alberada, ripudiata per sposare Sichelgaita, sorella del principe
di Salerno.
L’intervento federiciano sulle strutture normanne risale
a prima della sesta crociata, intorno al 1221, e in ricordo dell’ampliamento
e della ristrutturazione, la leggenda parla del cosiddetto “nido dell’aquila
imperiale” situato sull’attuale torre occidentale.
Federico utilizzò il castello anche come tesoreria
regia, come deposito delle riscossioni effettuate in Lucania, nonché
come prigione, visto che il saraceno Othman di Lucera vi fu incarcerato e dovette
pagare 50 once d’oro per riacquistare la libertà. Nel 1232 vi ospitò il marchese
di Monferrato e sua nipote Bianca Lancia, la donna da cui ebbe il figlio Manfredi;
nel 1241, vi trattenne come prigionieri di riguardo due cardinali e numerosi vescovi
francesi e tedeschi che avrebbero dovuto partecipare ad un Concilio per appoggiare
la decisione del Papa di deporlo; e proprio a Melfi si compì parte della storia
degli eredi dell’imperatore nei pochi anni di sopravvivenza della dinastia.
Il perimetro delle mura, scandito da poderose torri, fu costruito dagli Angioini
tra il 1277 e il 1281, sotto la direzione di Riccardo da Foggia, mentre all’architetto
regio Pierre d’Angicourt furono affidate le varie opere di ampliamento dell’edificio
preesistente. Ed è proprio la facies protoangioina, insieme a quella dei primi del
Cinquecento – con i relativi ambienti palaziali – a connotare il castello
nella sua veste attuale.
Di proprietà del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, alcune delle sue
sale ospitano oggi il Museo Nazionale del Melfese, nel quale sono
esposti numerosi reperti archeologici provenienti dalle zone limitrofe.
Nel Museo è custodito il celebre Sarcofago di Rapolla [link
alle notizie su Rapolla appena disponibili] (dal nome della località dove fu rinvenuto
nel 1856), una delle più importanti testimonianze di arte di scuola asiatica del
II secolo d.C.: la cassa riproduce un tempietto, nelle cui nicchie ed archi sono
raffigurati dèi ed eroi, sormontato dal coperchio su cui giace la figura della defunta.